Alzi la mano chi non si è mai sentito, in un qualche momento della sua vita, sotto giudizio. Alzi la mano chi, in qualche momento della sua vita, non ha mai giudicato un altro.
Cosa sono i giudizi?
Si tratta di affermazioni volte a valutare in modo positivo o negativo il comportamento di un’altra persona.
Tale valutazione (buono/cattivo, giusto/sbagliato, bello/brutto) viene riferita al pensiero personale oppure al “pensiero comune”.
Si tratta di un linguaggio che non comunica un modo di sentirsi o di sentire (la tua azione mi ha fatto bene/mi ha fatto male) ma un modo per classificare e dare un determinato valore ad un’azione , atteggiamento o comportamento.
Una mia paziente mi ha detto, a ragion veduta, che la parte difficile di una scelta non è data tanto dalla scelta in sè, ma da ciò che tale scelta scatenerà nel mondo circostante.
E queste “forze che si scatenano” prendono spesso la forma di giudizi, nelle loro accezioni più disparate: chiari e espressi con la persona interessata, velati o coperti da sarcasmo, dietro le spalle e riportati da terzi, espressi senza pensare, detti per ferire….
Perché la base del giudizio è la paura?
Perché quella cosa che vediamo in qualche modo non ci piace e dobbiamo tenerla distante da noi, affinchè il confine tra “quello che sono” e “quello che non sono” sia definito in modo maggiore, e non rischiamo, infine, di perdere la nostra identità.
Cercare di capire potrebbe, nel profondo, mettere a rischio le proprie certezze, che spesso non sono così solide come si pensa possano essere.
Allora allontanarle permette di combattere questa paura, direi atavica, che somiglia alla necessità che il bambino di 2 anni esprime battendo i piedi, il ragazzo di 15 facendo le cose proibite dai genitori e l’adulto… sparando giudizi e classificazioni.
La paura di perdere qualcosa
Un primo aspetto di ogni giudizio è dato dalla paura di perdere qualcosa: si giudica un comportamento perché diverso dal proprio modo di essere e mediante il giudizio stesso quel comportamento, atteggiamento, tratto, viene allontanato.
Nel corso del nostro sviluppo scegliamo, più o meno coscientemente, quello che ci appartiene e quello che non ci appartiene.
E spesso, al posto di comprendere, ad esempio, che semplicemente una cosa non ci appartiene può invece far parte del mondo di un’altra persona, la giudichiamo:
- Sta sbagliando È impazzito
- È falso
- È ipocrita
- Ha dimenticato il cervello Fa schifo
- È un poco di buono Ecc..
La paura di non riuscire a comprendere il mondo
Mentre ci si allontana dalla paura, al contempo si fa ordine, e questa è il secondo elemento che nasconde il giudizio: consente di rendere il mondo misurabile e definito, maggiormente ordinato e di conseguenza più semplice da gestire: bello/brutto, giusto/ sbagliato, vero/falso, positivo/negativo.
La paura di perdere il controllo
Un terzo aspetto che si cela nel giudizio, anche questo legato alla paura, è il controllo: giudicando una persona la farò sentire sbagliata, e se questa persona ha delle fragilità (e le fragilità le abbiamo tutti), allora l’aggancio a queste mi permette di controllarla, a tal punto che richiederà i miei giudizi per capire se è giusta oppure sbagliata.
Paura e controllo sono intimamente legati: più è alto il bisogno di controllare una persona (comportamento, scelte, decisioni) più alta è la paura che la perdita di tale controllo produca una perdita interiore, e faccia precipitare in un abisso di solitudine, mancanza e dolore.
Cosa prova chi viene giudicato?
Se ci spostiamo nella prospettiva di chi viene giudicato, possiamo cogliere come ogni giudizio produca una ferita nell’altr*, più o meno profonda.
Altro o altra che magari ha fatto fatica a fare una determinata scelta; che magari si sente in colpa; che forse sta solamente cercando di spiegare al mondo chi è, e sta riscoprendo quel se stesso che aveva sepolto sotto la cenere.
Che combatte una guerra tra “la decisone giusta” e “quello che sento davvero”. Che razionalmente pensa delle cose e emotivamente ne sente altre.
Che sta vivendo la sua battaglia.
Alternative al giudizio
Allora, forse, senza lanciarsi in una corsa galoppante di facili giudizi che incasellano il mondo in una dimensione squisitamente personale, possiamo ricordare a noi stessi che i nostri valori e quelli di un’altra persona possono essere differenti.
Che magari non è impazzito, ma che quel comportamento non mi piace oppure mi ferisce. Che quella circostanza mi ha causato sofferenza.
Oppure che non lo capisco e lo vorrei capire (se è così).
Allora qualcosa di sterile, come il giudizio, lascia spazio ad un’apertura a quello che si prova. E apre le porte ad una comunicazione vera che, quando possibile, sintonizza i cuori di chi vi si trova coinvolto e trasmette emozioni, che possono finalmente essere vissute.
Dott.ssa Marta Campanaro Psicologa Psicoterapeuta